venerdì 1 settembre 2017

Giuseppe La Masa

Il Giuseppe La Masa, verosimilmente nei primi anni di servizio (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Torpediniera, già cacciatorpediniere, capoclasse della classe omonima (dislocamento standard 660 tonnellate, in carico normale 840 tonnellate, a pieno carico 875 tonnellate).
Le unità della classe La Masa, facente parte della lunga serie delle “tre pipe” (così chiamate per via dei loro tre alti e snelli fumaioli), erano sostanzialmente una riproduzione della precedente classe Sirtori, dalla quale differivano nell’armamento principale: mentre i Sirtori erano armati con sei cannoni singoli da 102/35 mm, l’armamento dei La Masa consisteva in quattro pezzi singoli da 102/45 Schneider-Armstrong 1917 (più moderni dei 102/35: il numero era stato ridotto da sei a quattro per via del maggiore peso dei pezzi da 102/45, ma, disponendo i due cannoni poppieri lungo l’asse centrale, la bordata non era stata ridotta) e due cannoncini contraerei Armstrong da 76/40 mm, oltre a due mitragliere singole Colt da 6,5/80 mm. Invariato l’armamento silurante, 4 tubi lanciasiluri da 450 mm in impianti binati.
In generale, le unità di questa classe – ultimi cacciatorpediniere italiani ad entrare in servizio durante la prima guerra mondiale: alcuni, anzi, furono completati a guerra già finita – non rappresentarono un’evoluzione rispetto alle precedenti classi Pilo e Sirtori, alle quali erano quasi del tutto uguali. Come questi ultimi, erano attrezzati anche per la posa di mine ed il dragaggio in corsa, e muniti di tramogge per bombe torpedini da getto.
I cannoni da 76/40 vennero eliminati all’inizio del secondo conflitto mondiale, e tra la fine del 1941 e l’inizio 1942 l’armamento artiglieresco subì un decremento a favore di un maggiore armamento contraereo: entro la fine del 1942, il La Masa risultava armato con un unico cannone da 102/45 mm (situato sul castello di prua), quattro mitragliere contraeree binate da 20/65 mm, tre tubi lanciasiluri da 533 mm (in un unico impianto trinato collocato a centro nave, a poppavia del terzo fumaiolo, lungo l’asse centrale) e due da 450 mm (un impianto binato, a poppa). Tale armamento, sperimentale, fu peculiare del solo La Masa e del gemello Carini, mentre le altre unità della classe mantennero un maggiore numero di cannoni da 102/45, pur subendo varie modifiche all’armamento.
La classe La Masa contava in tutto otto unità: una, il Benedetto Cairoli, andò perduta per collisione nella prima guerra mondiale, mentre le rimanenti sette, declassate nel 1929 a torpediniere, combatterono anche nella seconda guerra mondiale, nella quale cinque di esse andarono perdute.
Durante la seconda guerra mondiale il Giuseppe La Masa operò prevalentemente in Mar Tirreno (secondo una fonte avrebbe anche compiuto qualche missione di scorta sulle rotte per l’Albania e la Grecia), con compiti di scorta e di soccorso.

Breve e parziale cronologia.

1° settembre 1916
Impostazione nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
6 settembre 1917
Varo nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
28 settembre 1917
Entrata in servizio.
23-24 aprile 1918
Il La Masa, insieme al cacciatorpediniere Pilade Bronzetti, agli esploratori Carlo Mirabello ed Alessandro Poerio ed ai cacciatorpediniere  Cimeterre (francese), TorrensCometAlarmRedpole e Rifleman (tutti britannici), esce in mare per porsi all’inseguimento dei cacciatorpediniere austroungarici TriglavCsepelUzsokLika e Dukla, che hanno attaccato lo sbarramento del canale d’Otranto e danneggiato gravemente i cacciatorpediniere britannici Hornet e Jackal, intervenuti per fermarli. Tra le navi italiane, il La Masa è l’ultimo a prendere il mare, salpando da Brindisi, preceduto nell’ordine da Bronzetti, Mirabello (con a bordo il contrammiraglio Guido Biscaretti, comandante della IV Divisione) e Poerio; il La Masa esce in mare poco dopo Mirabello e Poerio, che sono partiti insieme Da Valona esce anche l’incrociatore leggero britannico Gloucester.
A causa della loro posizione, sfavorevole ad un’intercettazione, le navi italo-franco-britanniche non riescono a raggiungere quelle austroungariche prima che esse rientrino in porto.
25 maggio 1918
La Masa, Bronzetti, Poerio e Mirabello (con a bordo il contrammiraglio Leopoldo Notarbartolo, comandante della IV Divisione) lasciano Brindisi per dare la caccia a cinque unità austroungariche avvistate e segnalate da cacciatorpediniere britannici, ma senza risultato.
1-2 luglio 1918
Il La Masa ed altri sei cacciatorpediniere – Audace, Francesco Stocco, Giuseppe SirtoriGiuseppe Missori, Giovanni Acerbi e Vincenzo Giordano Orsini – danno appoggio a distanza alle torpediniere 64 PN65 PN66 PN40 OS, 48 OSClimene e Procione (le ultime due d’alto mare, con sola funzione d’appoggio alle altre, costiere) mentre procedono lentamente tra Cortellazzo e Caorle bombardando le linee austroungariche, simulando inoltre uno sbarco (con le torpediniere 15 OS18 OS e 3 PN che rimorchiano alcuni finti pontoni da sbarco) per distogliere l’attenzione delle forze nemiche e così favorire l’avanzata di quelle italiane (Reggimento Marina e 64° e 65° Reggimento Bersaglieri), sul fronte del Piave. I cacciatorpediniere italiani s’imbattono inoltre negli austroungarici Csikós e Balaton e nelle torpediniere TB 83F e TB 88F, partite da Pola nella tarda serata del 1° luglio per supportare un’incursione aerea su Venezia e giunte in zona dopo aver superato l’attacco di un MAS (che ha lanciato un siluro contro il Balaton, che ha una caldaia guasta) all’alba del 2 luglio. Le unità italiane avvistano quelle nemiche alle 3.10 ed aprono il fuoco, dopo di che anche le siluranti austroungariche iniziano a sparare: nel breve scambio di colpi le unità nemiche, soprattutto il Balaton (che si è portato nel colmo dello scontro, lasciando indietro le altre tre), subiscono alcuni danni, ma anche lo Stocco viene colpito, con alcuni morti e feriti tra l'equipaggio ed un incendio a bordo che lo obbliga a fermarsi (dopo aver evitato due siluri con la manovra), e l'Acerbi si deve fermare per fornire aiuto all’unità gemella. Il Balaton, centrato più volte in coperta a prua, si porta in posizione più avanzata, mentre La MasaAudace e Missori combattono contro il Csikós e le due torpediniere, rimaste indietro: da entrambe le parti si lanciano infruttuosamente siluri, mentre il Csikós viene colpito da un proiettile nel locale caldaie poppiero ed anche le due torpediniere ricevono un colpo ciascuna. Dopo qualche tempo le unità italiane si allontanano per riprendere il loro ruolo, mentre quelle austroungariche tornano a Pola.
1° novembre 1918
Il La Masa fa parte della III Squadriglia Cacciatorpediniere (insieme ai gemelli Nicola Fabrizi, Rosolino Pilo e Giuseppe Missori), la quale, unitamente alle Squadriglie Cacciatorpediniere I e V, forma la Flottiglia Cacciatorpediniere dell’Alto Adriatico, con base a Venezia.
3 novembre 1918
Durante l’offensiva finale italiana, un giorno prima dell’annuncio dell’armistizio di Villa Giusti, La MasaStoccoMissoriPiloAcerbiOrsiniAudace (al comando del capitano di corvetta Pietro Starita e con a bordo il capitano di vascello Giobatta Tanca, comandante dei cacciatorpediniere dell’Adriatico, ed il pilota Guido Tebaidi, esperto della navigazione tra Cortellazzo e Trieste) e Fabrizi lasciano Venezia diretti a Trieste, trasportando il generale Carlo Petitti di Roreto (designato governatore di Trieste), imbarcato sull’Audace. (Per altra fonte, Petitti di Roreto era imbarcato proprio sul La Masa, ma si tratta probabilmente di un errore).
Insieme a loro vi sono anche le torpediniere d’altura Procione e Climene (partite da Cortellazzo), mentre li segue un convoglio per trasporto truppe (piroscafetti IstriaCervignano e Friuli; vaporetti Sant’Elena, Roma e Clodia ciascuno con 300 uomini; vaporetti lagunari 1417293840SV1SV4 e San Secondo, con 1450 uomini in tutto) scortato dalle torpediniere costiere 1 PN4 PN40 PN41 PN64 PN (con a bordo il generale Coralli, comandante della spedizione, ed il capitano di vascello Cesare Vaccaneo), 13 OS e 46 OS (40 PN e 41 PN prendono anche a rimorchio Cervignano e Friuli, unitisi all’ultimo momento, perché troppo lenti) e protetto anche dalle torpediniere Pellicano e 113 S, dalle cannoniere Brondolo e Marghera e dai dragamine RD 1 e RD 2, che effettuano a coppie il dragaggio della rotta.
Le navi del convoglio trasportano il 7° e l’11° Reggimento Bersaglieri (generale Felice Coralli), il Battaglione "Golametto" del Reggimento Marina (capitano di corvetta Cesare Repetto), la compagnia mitraglieri reggimentale FIAT (sottotenente di vascello Mario Monti) del reggimento Marina (capitano di vascello Giuseppe Sirianni) ed alcuni membri di reparti speciali. Scopo di queste truppe – 2600 uomini in tutto, oltre a 200 carabinieri imbarcati sull’Audace – è di procedere all’occupazione di Trieste: il 30 novembre, infatti, è giunta a Trieste la torpediniera ex austroungarica TB 3, recante parlamentari triestini (italiani ed alcuni jugoslavi) che hanno riferito che i rappresentanti delle autorità dell’Impero Austro-Ungarico (in rapida disgregazione) hanno lasciato Trieste, e che la città è governata da un comitato di salute pubblica. Il 1° novembre, pertanto, il Comando in Capo del Dipartimento di Venezia ha ricevuto disposizione di procedere all’occupazione della città, operazione che prende il via appunto il 3 novembre.
Compito del gruppo dei cacciatorpediniere, che precede il convoglio con le truppe, è di proteggere quest’ultimo e dragarne la rotta; le mine, unico concreto pericolo della navigazione (circola anche la notizia che tre sommergibili siano usciti da Pola, ma essa è priva di fondamento), non provocano problemi (due sole vengono dragate, al largo di Cortellazzo).
Nell'ultimo tratto della navigazione, il convoglio è scortato anche da una coppia di idrovolanti: L7 e L8 al mattino, M28 e M30 al pomeriggio.
Pilotate dalla TB 3, le navi italiane entrano a Trieste alle 16.10, sbarcandovi 200 carabinieri ed il generale Petitti di Roreto. Quest’ultimo, appena sceso a terra, prende possesso della città in nome del re d’Italia, tra la folla festante. Alle 17 l’Istria sbarca la compagnia mitraglieri, che prende possesso dell’Arsenale militare, ed alle 18 attracca il resto del convoglio, che sbarca le truppe.
L’occupazione della città non presenta problemi; sono presenti soltanto due torpediniere ex austroungariche e personale del Comando Marina. Le truppe italiane provvedono rapidamente a prendere possesso e dei principali edifici pubblici e militari, oltre che al rimpatrio degli ex prigionieri italiani.

Cartolina commemorativa dell’arrivo delle navi italiane a Trieste: a sinistra il La Masa, a destra l’Audace (da www.webalice.it

5 novembre 1918
La Masa, Pilo, Missori, il cacciatorpediniere Giuseppe Cesare Abba e la corazzata Ammiraglio Saint Bon (con a bordo l’ammiraglio Umberto Cagni, comandante della formazione), le torpediniere d’altura ProcioneClimene e Pellicano (che dragano la rotta davanti alla formazione), le torpediniere costiere 2 PN3 PN4 PN10 PN16 OS, 41 PN e 64 PN, quattro MAS ed un rimorchiatore-dragamine salpano da Venezia di prima mattina dirette a Pola, per procedere all’occupazione della città e piazzaforte già austroungarica. A bordo delle navi sono imbarcate truppe da sbarco della Marina e dell’Esercito: sui cacciatorpediniere, quattro compagnie da sbarco della Marina con alcuni specialisti per le comunicazioni; sulla Saint Bon, un battaglione di fanteria e 100 carabinieri. Il tempo non è dei migliori: nebbia, nuvolaglia, vento di scirocco, piovaschi e mare lungo.
La formazione supera gli sbarramenti di Venezia prima delle cinque del mattino, ed alle dieci la aumenta la velocità, mentre il tempo migliora, anche se non si vede il sole; il mare si calma. A mezzogiorno, superata una zona minata, le navi italiane passano davanti a Rovigno,
Alle 13.30 la formazione entra nel canale di Fasana, e poco dopo l’ammiraglio Cagni dà ordine sbarcare truppe a Fasana (a cinque chilometri da Pola): prima il capitano di vascello Foschini, poi le compagnie da sbarco dei cacciatorpediniere, poi i reparti della Saint Bon. Mentre le prime compagnie da sbarco – personale del Reggimento Marina – prendono terra, alle 13.50, Cagni ordina alla 4 PN (tenente di vascello Paolo Maroni; a bordo anche il capitano di vascello Alessandro Ciano) di precedere le altre navi a Pola, per preannunciare l’occupazione della città. La torpediniera esegue l’ordine ed entra a Pola alle 14.20. La La Masa (che, avendo a bordo il capitano di vascello Costanzo Ciano ed un pilota pratico di queste acque, guida la Saint Bon in porto, indicandole dove dare fondo) e le altre navi entrano a Pola alle 16, in linea di fila; in serata giungono anche truppe di terra.
Mentre la popolazione della città – in maggioranza italiana – accoglie festosamente l’arrivo delle truppe italiane, il considerevole numero di soldati e (soprattutto) marinai jugoslavi presenti può presentare un problema per l’occupazione italiana.
L’ammiraglio Metodio Koch, comandante della neonata flotta jugoslava (sorta il 30 ottobre a seguito dell’unilaterale cessione della flotta austroungarica al Consiglio Nazionale dei Serbi, Croati e Sloveni), inizialmente protesta e sostiene che la città di Pola, le sue fortezze e la flotta già austroungarica appartengono ora alla Jugoslavia; le clausole dell’armistizio di Villa Giusti, tuttavia, prevedono la consegna della flotta e l’occupazione interalleata (mentre il Patto di Londra parlava di occupazione italiana) delle installazioni militari e degli arsenali e cantieri di Pola (sarà anche la Francia a prendere posizione contro un’occupazione solamente italiana, anziché da parte delle forze congiunte dell’Intesa), ma non vi è poi una sostanziale opposizione all’occupazione italiana. Le fortezze vengono occupate il 6 novembre.
I circa 30.000 militari ex austroungarici presenti in città se ne vanno nei giorni successivi, mentre l’ammiraglio Cagni assumerà pieni poteri il 7 novembre.

Venezia, 1919: il La Masa ormeggiato accanto ai similari Rosolino Pilo e Giuseppe Missori, della classe Pilo. In primo piano il cacciatorpediniere statunitense Kitty (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

30 agosto 1923
Nel corso della Crisi di Corfù, scatenata dall’assassinio (avvenuto ad opera di ignoti, il 27 agosto, tra Giannina e Santi Quaranta) del generale Enrico Tellini e di una delegazione italiana che avrebbe dovuto definire i confini tra Grecia ed Albania, il La Masa salpa da Taranto con una forza navale (composta, oltre che dal La Masa, dai cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori, Generale Antonio CantoreGenerale Antonio Chinotto, Generale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa, dalle corazzate Caio Duilio ed Andrea Doria, dall’esploratore Augusto Riboty, da un dragamine e da due navi ausiliarie) incaricata di difendere il Dodecaneso da possibili azioni ostili da parte della Grecia. La squadra viene dislocata a Portolago (Lero).

La nave nel 1923 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

1929
Forma, insieme ai similari Generale Achille PapaGenerale Antonio Cantore, Generale Carlo MontanariGenerale Marcello Prestinari, la VI Squadriglia Cacciatorpediniere, che con la V Squadriglia (Angelo Bassini, Giacinto Carini, Nicola Fabrizi, Giuseppe La Farina) ed all’esploratore Carlo Mirabello compone la 3a Flottiglia della II Divisione Siluranti (2a Squadra Navale, di base a Taranto).
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera, come tutti i vecchi “tre pipe”. Negli anni successivi alterna periodi di impiego con la flotta a periodi di disponibilità.
1930 ca.
È comandante della La Masa il capitano di corvetta Giuseppe Sparzani.
1937-1938
È comandante della La Masa e della sua squadriglia, per breve tempo, il capitano di fregata Massimo Girosi.

Una immagine, un po’ mutilata, della nave nel 1919 (da www.modellismopiu.it)

10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, la La Masa fa parte della XVI Squadriglia Torpediniere (insieme a Giacinto Carini, Curtatone, Castelfidardo, Calatafimi e Monzambano), avente base a La Spezia.
9 febbraio 1941
La La Masa si trova a La Spezia quando Genova, tra le 8.14 e le 8.55, viene bombardata dalla Forza H britannica (incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya, portaerei Ark Royal, incrociatore leggero Sheffield, cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake), che spara contro il capoluogo ligure 273 colpi da 381 mm, 782 da 152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici, uccidendo 144 civili e ferendone 272, oltre ad affondare due mercantili. Quale azione diversiva, anche La Spezia viene attaccata, alle 7.33, da alcuni bombardieri decollati dall’Ark Royal, che depositano delle mine magnetiche all’uscita del porto (in tutto 14 biplani Fairey Swordfish, degli Squadrons 810 e 820 della Fleet Air Arm, attaccano La Spezia e Livorno). Lo scopo è impedire alla squadra navale italiana di uscire in mare per contrastare l’operazione, ma la squadra, al comando dell’ammiraglio Angelo Iachino, è già salpata (la compongono le corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria e e Squadriglie Cacciatorpediniere X e XIII, cui più tardi si uniranno anche la III Divisione Navale e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, uscite da Messina); non sa però quale sia lo scopo della presenza in mare della Forza H, e non riesce ad intercettarla prima che questa bombardi Genova.
Alle 11.45 la La Masa esce da La Spezia per fornire assistenza, qualora fosse necessario, alle unità della vigilanza foranea.
Durante tale crociera protettiva, alle 16.42, la torpediniera avvista il relitto semisommerso di un idrovolante CANT Z. 506: si tratta del velivolo n. 7 della 287a Squadriglia (94° Gruppo, 31° Stormo) della Regia Aeronautica, decollato dalla base sarda di Elmas, inviato in ricognizione nell’Alto Tirreno ed abbattuto dai caccia dell’Ark Royal subito dopo aver avvistato, alle 11.47, la Forza H. Si tratta dell’avvistamento più importante tra quelli effettuati dalla ricognizione italiana nel corso della giornata, ma l’idrovolante è stato abbattuto prima di poterne dare notizia. La La Masa, tratto in salvo l’equipaggio del CANT Z. 506, ne affonda il relitto ed alle 17.15 comunica il segnale di scoperta sulla base delle informazioni fornite dagli avieri abbattuti: la torpediniera segnala che a mezzogiorno l’idrovolante ha avvistato una portaerei, due corazzate ed altre unità in posizione 43°22’ N e 08°35’ E (a 45 miglia per 300° da Capo Corso), stimandone la rotta in 300°/310° (verso nordovest; in realtà era 244°). La posizione del nemico indicata nel messaggio, a differenza di quelle riferite nel corso della giornata da altri ricognitori, è piuttosto accurata; ma giunge nelle mani dell’ammiraglio Iachino solo alle 17.55, quando ormai sono passate troppe ore dall’avvistamento. La flotta italiana non riuscirà a raggiungere la Forza H, che rientrerà indenne a Gibilterra.
24 aprile 1941
Alle cinque del mattino la La Masa e la gemella Giacinto Carini incontrano in mare l’incrociatore leggero Raimondo Montecuccoli, diretto a La Spezia per un periodo di lavori, e ne assumono la scorta, come loro ordinato. Il tempo è pessimo.
25 aprile 1941
La Masa, Montecuccoli e Carini entrano a La Spezia alle 12.30.
13 ottobre 1941
La La Masa salpa da Civitavecchia, dov’è giunta da Livorno, per scortare a Napoli la nave cisterna Saturno.
Alle 16.50 le due navi (la La Masa, identificata dall’attaccante come nave classe Generali – in effetti molto simile – sta in quel momento zigzagando a proravia della Saturno) vengono avvistate dal sommergibile olandese O 24 (capitano di corvetta Otto de Booy), a cinque miglia per 355°. Alle 17.35, in posizione 41°48’ N e 12°03’ E (circa cinque miglia ad ovest di Fiumicino), l’O 24 lancia quattro siluri da 1370 metri, contro la Saturno. Il bersaglio viene mancato.
Alle 17.45 la La Masa contrattacca brevemente col lancio di tre bombe di profondità (la prima esplode molto vicina all’O 24, le altre due più lontane), poi prosegue con la Saturno verso la destinazione.
27 novembre 1941
La La Masa, insieme alla torpediniera Libra ed ai MAS 510 e 515 della X Flottiglia, scorta l’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere in una breve uscita nelle acque di La Spezia per esercitazioni di tiro contro un bersaglio rimorchiato.
1942
Lavori di modifica dell’armamento: tre dei cannoni da 102/45 mm vengono rimossi, al pari dei due da 76/40 (per altra fonte sbarcati già all’inizio del conflitto), delle due mitragliere Colt e di uno dei due impianti lanciasiluri binati da 450 mm; vengono invece installate quattro mitragliere contraeree binate Breda 1935 da 20/65 mm ed un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm. (Secondo altre fonti, tali lavori sarebbero avvenuti nel 1940).

La nave in transito sotto il ponte girevole di Taranto (da www.wrecksite.eu)

27 febbraio 1943
Alle 15.19 il sommergibile britannico Torbay (tenente di vascello Robert Julian Clutterbuck), in agguato poco fuori dell’imboccatura del porto di Bastia, avvista un convoglio in avvicinamento, diretto in porto: si tratta dei trasporti truppe Francesco Crispi e Rossini, scortati dalla La Masa, dall’incrociatore ausiliario Filippo Grimani e dal MAS 558. Le navi italiane distano 13.700 metri; il Torbay manovra per avvicinarsi, ed alle 15.45 il piroscafo scelto come bersaglio (probabilmente il Crispi) accosta ad una distanza di 4600 metri, così ponendosi proprio davanti al Torbay. Il sommergibile manovra per portarsi in posizione idonea all’attacco, poi lancia quattro siluri; nessuno va a segno. La scorta lancia 14 bombe di profondità, ma il Torbay non subisce danni, e si ritira verso est.
8 aprile 1943
Alle 6.44 il sommergibile britannico Trident (tenente di vascello Peter Edward Newstead) avvista a nordest di Bastia, in posizione 42°46’ N e 09°39’ E (alla distanza di 7300 metri, su rilevamento 230°), il piroscafo Tagliamento, in navigazione sotto la scorta della La Masa. Alle 7.12 il Trident lancia quattro siluri, da 1460 metri, contro il Tagliamento; nessuna delle armi va a segno.
19 aprile 1943
La La Masa lascia Livorno per scortare a Bastia, insieme all’incrociatore ausiliario Caralis (vi è anche un idrovolante come scorta aerea), un convoglio formato dai trasporti truppe Francesco Crispi e Rossini, carichi di soldati destinati ai presidi della Corsica.
Alle 12.50 il sommergibile britannico Saracen (tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby) avverte rumore di navi su rilevamento 080°, e dopo otto minuti avvista il convoglio scortato dalla Fabrizi, mentre procede con rotta e velocità 220° e 9 nodi (stimate), a distanza di 11 km. Alle 13.17 il convoglio, inconsapevolmente, accosta in direzione del Saracen, ed alle 13.25 quest’ultimo, in posizione 42°46’ N e 09°42’ E, lancia sei siluri da 4600 metri.
Tre delle armi vanno a segno: la vittima è il Crispi, che viene colpito da tre siluri ed affonda in soli 16 minuti 18 miglia a ponente di Punta Nera (Isola d’Elba).
Nei 45 minuti successivi all’attacco, la scorta lancia 46 bombe di profondità, ma il Saracen non subisce danni.
Un’operazione di soccorso su vasta scala (vi partecipano i rimorchiatori Turbine e Vulcano, i piroscafi Angela e Capitano Sauro, il dragamine Lucia Madre ed il MAS 558 con a bordo l’ammiraglio Pellegrino Matteucci), subito organizzata, permette di salvare 676 uomini, ma altre centinaia, soprattutto Granatieri di Sardegna, sono morti nell’affondamento.
22 aprile 1943
La La Masa viene fatta salpare da Bastia per cercare eventuali superstiti del piroscafo Tagliamento, silurato ed affondato dal sommergibile britannico Saracen durante la navigazione da Livorno a La Maddalena. Le ricerche sono intralciate dalla nebbia; quando la La Masa giunge sul luogo dell’affondamento, trova soltanto rottami galleggianti. Dopo lunghe ed inutili ricerche, la torpediniera deve fare ritorno a Bastia: non ci sono sopravvissuti tra gli oltre 120 uomini imbarcati sul Tagliamento, esploso subito dopo il siluramento a causa del suo carico di munizioni.
 
La La Masa a Cagliari nel 1942 (g.c. STORIA militare)

La fine

Quando venne annunciato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, la La Masa (formalmente inquadrata nel II Gruppo Torpediniere del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno, insieme alla gemella Nicola Fabrizi ed alla similare Generale Achille Papa) si trovava a Napoli per grandi lavori; non era in grado di muoversi, ed era anche priva di munizioni.
Alla data dell’armistizio, Napoli era nella disastrata situazione di una città sottoposta da mesi ad un crescendo di bombardamenti di violenza inaudita: l’edificio che ospitava il Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo, retto dall’ammiraglio di squadra Ferdinando Casardi (cui non competeva la difesa territoriale, che era invece prerogativa dell’Esercito; il personale della Marina armava solo le batterie contraeree del porto ed i servizi portuali), era del tutto inagibile salvo che per poche stanze; magazzini, uffici, stabilimenti industriali, attrezzature portuali ed installazioni della base navale erano in rovina, il porto disseminato di relitti di navi di ogni genere, le comunicazioni con Gaeta e le isole del Golfo temporaneamente interrotte.
La notizia dell’armistizio provocò manifestazioni di giubilo tra l’esasperata popolazione napoletana, ma le sue pesanti conseguenze non avrebbero tardato a manifestarsi. Nella notte tra l’8 ed il 9 settembre il capitano di fregata Palmgren della Kriegsmarine, ufficiale di collegamento tedesco presso il Comando in Capo del Dipartimento del Basso Tirreno, si presentò all’ammiraglio Casardi dichiarando che la Germania restava sola e la sua situazione si aggravava, ma che augurava buona fortuna all’Italia e sperava che da parte italiana non si intraprendessero azioni ostili verso i tedeschi. Casardi ringraziò e rispose che i suoi uomini non avrebbero agito contro i tedeschi, se questi ultimi avessero a loro volta evitato atti ostili; ma intanto l’operazione «Achse», l’occupazione tedesca dell’Italia e la neutralizzazione delle sue forze armate, aveva già preso il via.
Già alle 20.40 dell’8 settembre un reparto tedesco aprì il fuoco contro una batteria contraerea italiana, e verso le 22 alcuni marinai e soldati italiani furono fermati e disarmati nella zona di Camaldoli. Da Salerno non tardarono a giungere notizie sulle aggressioni tedesche ai danni dei locali presidi italiani (il generale Ferrante Gonzaga, comandante della 222a Divisione Costiera dislocata in quel settore, fu ucciso dopo essersi rifiutato di arrendersi), sui saccheggi e sull’occupazione tedesca di quel porto.
Ben presto le aggressioni tedesche si diffusero a macchia d’olio in tutto il territorio del Dipartimento di Napoli, mentre i reparti del Regio Esercito stentavano a reagire, sia per la confusione seguita all’armistizio, sia per la speranza che gli Alleati, sbarcati a Salerno, sarebbero arrivati a breve.
Tra il 9 ed il 10 settembre lo svolgimento dei servizi della Marina incontrò difficoltà sempre maggiori; le comunicazioni con Roma cessarono dalle 10.25 del 9 (ma l’ammiraglio Casardi riuscì a mantenersi al corrente di quanto accadeva mediante la radio, ricevendo gli ordini impartiti da Brindisi e Roma), e quello stesso giorno si riuscì a convincere il locale comando della Kriegsmarine, tramite il comandante Palmgren, a gettare in mare le munizioni stivate nel deposito del Molo Razza, anziché far saltare il deposito (il che avrebbe avuto gravi conseguenze sulla città).
Il 10 settembre, autocarri tedeschi passarono per la città gettando bombe a mano e sparando contro alcuni presidi italiani (in particolare quello sotto l’edificio del Comando in Capo e quello della base navale, entrambi attaccati poco dopo le 17), provocando la reazione armata dei marinai di guardia agli impianti. Ai marinai si unirono anche soldati e civili, e scoppiarono accaniti combattimenti protrattisi per circa un’ora; gli attaccanti si asserragliarono nei magazzini siti sotto il Palazzo Reale, nelle vicinanze, ma dovettero infine arrendersi. Le perdite italiane furono di 3 morti e diversi feriti (tra cui il comandante in seconda della base navale, capitano di fregata Lubrano), quelle tedesche di 2 morti e 20 prigionieri.
La sera del 10 si apprese che la Divisione tedesca «Hermann Göring» stava avanzando verso Napoli, proveniente da sud, e l’11 settembre Napoli ed i sobborghi vennero occupati da tale Divisione. Nelle prime ore dell’11 settembre, l’ammiraglio Casardi dispose che tutti gli ufficiali e marinai non necessari al mantenimento di alcuni servizi essenziali (ricezione radio e decifrazione dei messaggi, custodia dell’edificio del Comando in Capo, servizio amministrativo e sanitario) venissero lasciati liberi, con l’ordine di ripresentarsi quando le truppe Alleate fossero giunte a Napoli.
Lo stesso 11 settembre, nell’imminenza dell’occupazione tedesca del porto di Napoli, la La Masa venne abbandonata nel porto, non essendo in grado di muovere o reagire.
Non è molto chiara la successiva sorte della torpediniera; certo è che non fu utilizzata dai tedeschi. Secondo alcune fonti, la La Masa sarebbe stata minata e fatta saltare dalle truppe tedesche durante l’occupazione di Napoli (forse lo stesso 11 settembre, ma tale data sembra inverosimile). Secondo altre fonti, essa non sarebbe stata abbandonata e catturata dalle truppe tedesche, bensì autoaffondata dall’equipaggio, l’11 settembre, per evitarne la cattura.

La breve occupazione tedesca di Napoli, dall’11 al 30 settembre 1943, fu particolarmente brutale: decine di militari italiani vennero uccisi (parecchi, “rei” di aver resistito ai tedeschi, o per rappresaglia contro azioni in cui non erano stati coinvolti, vennero trucidati davanti alla folla costretta a guardare); fu dichiarato lo stato d’assedio; venne decretato il servizio di lavoro obbligatorio (cioè la deportazione in Germania, per lavorare nell’industria bellica tedesca) per tutti gli uomini tra i 18 ed i 33 anni (cioè 30.000 persone); i rastrellamenti, le esecuzioni, i saccheggi e le vessazioni divennero all’ordine del giorno.
Esasperata da questa situazione, la popolazione di Napoli, com’è noto, insorse il 27 settembre contro gli occupanti, dando vita a quattro giorni di guerriglia urbana (le “Quattro Giornate di Napoli”) nei quali morirono 168 combattenti italiani (tra partigiani e militari), 159 civili e tra i 54 ed i 96 tedeschi. Questi scontri impedirono ai tedeschi di attuare la prevista deportazione di massa di lavoratori per la Germania, e di completare il loro piano di distruzione di Napoli prima dello sgombero della città. Nondimeno, nel corso dell’occupazione e prima di ritirarsi, le truppe tedesche avevano sistematicamente distrutto col fuoco e colle mine ogni installazione d’importanza militare od industriale tra Salerno e Capo Miseno.
Le prime truppe statunitensi entrarono a Napoli, già abbandonata dai tedeschi, alle 9.30 del 1° ottobre. Quello stesso giorno l’ammiraglio Casardi ed il suo Stato Maggiore rientrarono presso quel che restava della sede del Comando in Capo, e nei giorni seguenti anche il resto del personale tornò ai propri posti, come disposto da Casardi l’11 settembre.

Sia che fosse stata autoaffondata dall’equipaggio l’11 settembre per evitare la cattura da parte tedesca, sia che fosse stata catturata e poi distrutta dai tedeschi prima di ritirarsi dalla città a fine settembre (come accadde alla Partenope, unica altra torpediniera bloccata a Napoli per lavori e catturata dalle forze tedesche), la storia della Giuseppe La Masa si concluse a Napoli nel settembre 1943. Il relitto della torpediniera fu recuperato nel 1947 e, dopo la formale radiazione in data 27 febbraio 1947, venne demolito.

L’unico membro dell’equipaggio della La Masa morto durante il secondo conflitto mondiale fu il marinaio torpediniere Giuseppe Berruti, di 20 anni, da Montechiaro d’Asti.
Trovandosi probabilmente a casa in licenza al momento dell’armistizio, Berruti si unì alla Resistenza, arruolandosi nella Brigata Partigiana «Sandro Magnone» della 43a Divisione Autonoma «Sergio De Vitis», attiva in Val Sangone (Piemonte occidentale).
Il 10 maggio 1944 le forze tedesche (reparti di SS Polizei, polizia militare, Ost-Bataillone – reparti formati da soldati reclutati nelle terre occupate dell’URSS – ed un plotone di gendarmeria), appoggiate da reparti della Repubblica Sociale Italiana (due compagnie della Guardia Nazionale Repubblicana e 50 legionari del Gruppo Corazzato «Leonessa»), lanciarono l’operazione «Habicht», un massiccio rastrellamento contro le formazioni partigiane operanti nell’area; in tutto vi presero parte 1510 uomini. L’operazione terminò il 18 maggio, con l’uccisione di 156 tra partigiani e civili, in combattimento o passati per le armi; molti altri furono deportati, diversi villaggi furono saccheggiati e dati alle fiamme.
Giuseppe Berruti, catturato durante il rastrellamento, il 16 maggio 1944 venne condotto a Forno di Coazze insieme ad altri 18 partigiani e cinque altri prigionieri. I ventiquattro uomini furono costretti a scavarsi una fossa comune e fucilati; chi non fu ucciso subito dai proiettili venne lasciato morire per dissanguamento. A nessuno fu consentito di avvicinarsi; la borgata venne incendiata ed il parroco fu arrestato per aver tentato di intercedere per i rastrellati.
 
Un’altra immagine del La Masa nei primi anni di servizio (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)



Nessun commento:

Posta un commento